15 dic 2025
L’Esecutivo rivendica il rispetto dei target, ma operatori e amministrazioni chiedono certezze su criteri, tempi e risorse aggiuntive
Il taglio alle risorse destinate alle Comunità Energetiche Rinnovabili non compromette il raggiungimento degli obiettivi energetici del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È questa la linea con cui il Governo ha motivato la riduzione della dotazione PNRR per le CER, scesa a 795,5 milioni di euro rispetto ai 2,2 miliardi inizialmente previsti, come indicato nella nota del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del 21 novembre 2025.
La rimodulazione, difesa dall’Esecutivo anche in sede parlamentare, viene inquadrata come un’operazione di riallineamento delle risorse al fabbisogno effettivo, concordata con le istituzioni europee per evitare il rischio di fondi non utilizzabili e possibili effetti di “reversal” sul Piano. Una scelta che, secondo il Governo, non mette in discussione la traiettoria di sviluppo delle comunità energetiche, ma che ha generato forti perplessità tra operatori, amministrazioni locali e soggetti aggregatori.
Alla base della decisione, l’evoluzione della misura rispetto all’impostazione originaria del 2021. In una prima fase, il sostegno alle CER era stato concepito prevalentemente sotto forma di prestiti agevolati fino al 100% dei costi ammissibili. Con la revisione del PNRR del 2023, il meccanismo è stato trasformato in contributi in conto capitale con un’intensità massima del 40%, in linea con la disciplina europea sugli aiuti di Stato. Secondo l’Esecutivo, questo cambio di architettura avrebbe ridotto significativamente il fabbisogno finanziario complessivo a parità di obiettivi, rendendo non necessaria una dotazione da 2,2 miliardi.
A supporto di questa lettura, il Governo richiama anche i dati sulle domande presentate: a metà ottobre 2025 risultavano pervenute oltre 16.000 richieste per circa 475 milioni di euro, mentre a fine novembre l’ammontare complessivo delle istanze avrebbe raggiunto valori prossimi alla dotazione rimodulata, con una potenza installata già superiore al target PNRR di 1.730 MW.
In Parlamento, tuttavia, il confronto si è spostato sugli effetti concreti della decisione. Da un lato, è stato sollevato il tema di una possibile chiusura di fatto anticipata della misura, comunicata a ridosso della scadenza del bando. Dall’altro, è emersa la preoccupazione per i progetti presentati nei termini e potenzialmente ammissibili, ma destinati a restare senza copertura finanziaria.
Il Governo respinge l’ipotesi di un’interruzione anticipata e invita ad attendere l’esito delle istruttorie del GSE, sottolineando che solo al termine delle verifiche tecniche sarà possibile quantificare con precisione il numero dei progetti effettivamente idonei e l’eventuale scarto rispetto alle risorse disponibili. In questo quadro, l’Esecutivo afferma che i progetti idonei non immediatamente finanziati potrebbero essere sostenuti attraverso scorrimenti di graduatoria o tramite risorse aggiuntive da intercettare a livello nazionale, regionale o europeo.
Nel settore, però, restano aperte criticità operative rilevanti. Amministrazioni e operatori segnalano l’incertezza sui criteri di selezione e sulle graduatorie, il rischio di rallentamenti istruttori incompatibili con le scadenze del PNRR e la possibilità che investimenti già avviati – studi di fattibilità, progettazioni, iter autorizzativi – restino scoperti dopo essere stati impostati su una dotazione iniziale ben più ampia.
Il nodo centrale, dunque, non è solo la riduzione delle risorse, ma la gestione della fase successiva: tempi, regole, trasparenza e capacità di garantire continuità alle iniziative già in campo. La differenza tra una misura rimodulata e una misura di fatto interrotta passerà dalla rapidità delle istruttorie, dalla chiarezza dei meccanismi di scorrimento e dalla concreta disponibilità di fondi integrativi in tempi compatibili con il PNRR.
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